Le cellule staminali sono cellule non specializzate che hanno la capacità di trasformarsi in diversi altri tipi di cellule del corpo
grazie al differenziamento cellulare.
Tali cellule si riproducono per un numero illimitato di cicli replicativi rimanendo allo stesso stadio di differenziazione
(l'autorinnovamento); possono inoltre differenziarsi in molti tipi cellulari (potenza).
Classificazione:
Totipotenti
La totipotenza è la capacità più importante ed utile, di dividersi e produrre tutte le cellule
differenziate in un organismo, compresi i tessuti extraembrionali. Una sola cellula possiede, nei mammiferi, questa proprietà, ma solo
entro la quarta settimana: lo zigote.
Pluripotenti
La pluripotenza è la capacità di una singola cellula di dividersi e di differenziarsi in uno qualsiasi dei tre foglietti germinali:
endoderma (rivestimento interno dello stomaco, del tratto gastrointestinale, polmoni), mesoderma (muscoli, ossa, sangue, urogenitale),
o ectoderma (tessuti epidermici e del sistema nervoso), ma non riescono a dar luogo ad un individuo adulto.
Multipotenti
Un esempio è la cellula ematopoietica (una cellula staminale del sangue) la quale può svilupparsi in diversi tipi di cellule del sangue,
ma non può svilupparsi in cellule cerebrali o altri tipi di cellule al di fuori dei tipi di cellule appartenenti al tessuto del sangue.
Oligopotenti
Le cellule oligopotenti hanno la capacità di dare origine alla linea linfoide o mieloide. Altri esempi di cellule progenitrici
oligopotenti sono le cellule staminali vascolari che hanno la capacità di diventare o cellule muscolari lisce oppure endoteliali.
Unipotenti
Hanno la capacità di differenziarsi in un singolo tipo di cellula. Ad esempio gli epatociti, che costituiscono la maggior parte del fegato,
sono unipotenti. La capacità del fegato di rigenerarsi da un minimo del 25% della sua massa originaria è attribuita a questa proprietà,
altri esempi sono dati dalle cellule staminali unipotenti cubiche o cilindriche presenti a livello dello strato germinativo dell'epidermide.
Una cellula Staminale multipotente è quella Ematopoietica, che produce le cellule del sangue (eritrociti, piastrine, leucociti).
E’ particolarmente interessante per i trapianti di cellule e tessuti (nella cura del morbo di Parkinson, del diabete ed in caso di infarto).
Negli adulti le staminali sono in numero ridotto e generalmente poco efficaci. Al momento le staminali neurali non sembrano ancora in
grado di dare origine a cellule del sistema nervoso utili per la ricostruzione efficace delle cellule del sistema nervoso.
Prospettive più interessanti presentano le cellule staminali del cordone ombelicale se questo viene raccolto e conservato alla nascita.
Venne scoperta nel 1998 studiando le supernovae di tipo Ia, molto luminose e stabili per un certo periodo di tempo al punto da essere definite “candele campione”, estremamente utili per misurare la distanza delle galassie più lontane grazie al redshift (spostamento verso il rosso).
Qualche astronomo suggeriva, in precedenza, che l’espansione dell’universo potesse rallentare grazie alla forza di gravità
(universo chiuso) e quindi arrivare all’opposto del big bang (big crunch). L’esame di questo tipo di supernovae indicava invece che
la distanza tra le galassie stava aumentando grazie ad una forza repulsiva (energia oscura) di cui non sappiamo nulla se non la sua
grandezza (circa il 68% dell’energia dell’universo). Alcuni fisici ritengono che questo effetto repulsivo sia attribuibile all'energia
del vuoto.
L’altro tema che affascina gli astrofisici è quello della materia oscura. Se si osserva la materia
visibile dell’universo (galassie, nebulose, nubi di gas) i valori di massa misurati sono piuttosto bassi, il 5-10% di quella necessaria
a spiegare l’equilibrio gravitazionale delle galassie; deve esserci qualcosa di invisibile, ma dotato di massa, che non riusciamo a
vedere e che non interagisce con la materia ordinaria se non a livello gravitazionale. Le particelle di materia oscura potrebbero
essere formate da combinazioni di particelle esotiche che magari potrebbero essere rivelate dall’LHC di Ginevra. Gli scienziati hanno
comunque costruito mappe di materia oscura all’interno ed all’esterno della nostra galassia grazie anche all’osservazione dell’effetto
lente gravitazionale di una galassia.
I neutrini non sono più veloci della luce.
Nel settembre 2011 la comunità scientifica internazionale viene scossa dalla notizia che l'esperimento Opera, posto nei laboratori
dell'Infn sotto al Gran Sasso, che ha il compito di catturare i neutrini emessi dal Cern di Ginevra, aveva rilevato che questi ultimi
avevano percorso la distanza di 760 Km a velocità superiore a quella della luce, ovvero in un tempo minore di 60 nanosecondi.
Per gli scienziati la cosa era inspiegabile. Tutte le prove avevano escluso errori allo start.
Le particelle viaggiavano a intervalli di tempo di 50 milioni di nanosecondi. Altri test successivi hanno modificato i tempi
ottenendo sempre gli stessi risultati. Poiché tutte le leggi fisiche si basano sulla costanza della velocità della luce, un risultato
del genere “ha profonde implicazioni per la fisica e richiede un eccezionale livello di approfondimento” aveva affermato Fernando Ferroni,
presidente dell'Istituto Nazionale di Fisica nucleare (Infn). I controlli successivi avevano escluso possibilità di errori.
Il 22 febbraio 2012 la comunicazione che i risultati precedenti, che indicavano una velocità dei neutrini dell’esperimento Opera più
veloci della luce, erano falsati da un errore di collegamento tra GPS e il cavo di fibra ottica, cosa che generava appunto la
discrepanza tra velocità dei neutrini (che passano senza interferire attraverso qualunque superficie) e quella della luce.
Un respiro di sollievo per gli scienziati ed una delusione per il responsabile dell’esperimento, Antonio Ereditato che aveva
fatto il clamoroso annuncio cinque mesi prima, il quale ha affermato: "In condizioni normali la connessione di questo cavo ha due stati:
on e off. Lo utilizziamo da anni e in passato ha sempre funzionato correttamente. Ma poi è successo qualcosa per cui la connessione
non era nè accesa nè spenta, ma in una posizione intermedia. Adesso abbiamo il potenziale sospetto che questo effetto possa essere
stato attivo mentre prendevamo i dati sui neutrini". Ancora una volta il principio di falsificazione è stato applicato ad una
teoria rivelatasi sbagliata.
Entrato, nel 1939, nell’istituto di fisiologia umana dell’Università di Modena, iniziò le sue ricerche sul cancro nel 1963 portando avanti la sperimentazione su alcuni pazienti fino al 1967. Il nome del ricercatore balzò agli onori delle cronache già alla fine del 1973, quando tenne una conferenza sulle sue ricerche e sui primi esiti clinici (relativamente, allora, a patologie ematologiche trattate con la collaborazione dell'ematologo Edoardo Storti). La notizia venne ripresa da numerosi quotidiani nazionali ed esteri. Nell'agosto 1974 tenne una relazione sulle sue ricerche al congresso mondiale di fisiologia di Nuova Delhi. Nel 1977 introdusse nella sua multiterapia l'uso della somatostatina, in modo da curare anche i cosiddetti "tumori solidi". Nel 1989 venne presentato ufficialmente anche questo nuovo metodo di cura con il quale Di Bella affermava di poter prevenire la formazione della metastasi. Fra il 1997 e il 1998 fu oggetto di una grande attenzione da parte dei mass media italiani. Il suo studio-laboratorio, a Modena, fu praticamente assediato da un grande numero di ammalati di cancro alla ricerca di una terapia efficace.
Sebbene nel 1996 la Commissione Oncologica Nazionale, su richiesta delle autorità sanitarie, avesse comunicato che tale terapia era
priva di validazione scientifica, un'associazione di pazienti in cura con Di Bella (AIAN) si mosse per richiedere la gratuità
della somatostatina, allora non inclusa tra i farmaci antitumore, essendo il costo della cura molto oneroso per i pazienti. Per tutto
il 1997, sulla spinta dei media, grazie anche all'attività dell'AIAN e la presa di posizione di alcuni partiti politici, schierati a
favore della "libertà di cura", l'opinione pubblica cominciava a prendere sempre più posizione favorevole alla sperimentazione, al punto
che anche un magistrato aveva ordinato ad un'Azienda sanitaria locale di competenza di fornire gratuitamente i farmaci necessari per
tale terapia a un paziente.
Di conseguenza il governo dell'epoca il 10 gennaio 1998 autorizzò la sperimentazione. il Ministero della Salute sottolineò che il
presupposto scientifico della sperimentazione era da rinvenire nell'allarme sociale che stava causando la vicenda. La sperimentazione
venne concordata alla fine di gennaio del 1998 tra Rosy Bindi, l'allora Ministro della Salute, Lorenzo Tomatis, Umberto Veronesi e Luigi
Di Bella. I protocolli vennero sottoscritti da Luigi Di Bella e da un'equipe di oncologi e garanti tra i migliori in Italia.
L'accordo prevedeva la sperimentazione di 9 protocolli (diventeranno 11) su altrettante neoplasie per un totale di 600 pazienti e un
ulteriore protocollo di osservazione che avrebbe coinvolto 2000 pazienti; i centri coinvolti erano 21. I principali criteri comuni ai
diversi protocolli per l'accesso alla terapia erano rappresentati da: avere ricevuto una diagnosi istologica o citologica di
malattia neoplastica; presentare una malattia misurabile e/o valutabile; presentare uno stadio avanzato di malattia; non avere
ricevuto precedenti trattamenti MDB; non assumere contemporaneamente altri farmaci antitumorali. La multiterapia o cocktail,
come sarà denominata, era costituita da quattro componenti tra cui il ciclofosfamide, la somatostatina, la melatonina.
La sperimentazione condotta dal Ministero della Salute si concluse, nel novembre 1999, con una dichiarazione di non comprovata
efficacia del suo metodo terapeutico e sancì la sostanziale inattività, cioè l'inefficacia terapeutica, del cosiddetto "multi trattamento
Di Bella", provocando peraltro contestazioni da parte dei sostenitori del fisiologo catanese. La valutazione finale da parte
dell'Italian Study Group for the Di Bella Multitherapy Trial fu che quelle sperimentazioni non avevano prodotto alcuna prova
che giustificassero ulteriori trials clinici. In particolare la sperimentazione di Fase II evidenziò come il MDB non avesse
"attività clinica sufficiente per giustificare ulteriori indagini" (cioè la Fase III).
Critiche alla sperimentazione.
Di Bella attribuì il fallimento della sperimentazione a tre fattori: utilizzo di medicinali scaduti, dosaggi errati, selezione dei
pazienti. La terapia di Di Bella e lui stesso furono il soggetto anche di alcune teorie complottistiche soprattutto da parte dei
suoi sostenitori. In Italia si formarono alcune associazioni formate in prevalenza da pazienti e loro parenti per sostenere il
metodo Di Bella, nonostante la mancanza di prove scientifiche a sostegno dello stesso. I risultati furono ritenuti comunque
conclusivi dalle istituzioni sanitarie.
"Il caso Di Bella è stato un trionfo della fiducia magica nel risultato immediato" (Umberto Eco).
La vicenda suscitò un processo emotivo di adozione da parte del pubblico di quella figura di eroe capace di opporsi alle
istituzioni (illegittime per definizione) e ai loro oscuri interessi per indicare una nuova via facile e comoda attraverso la quale
ottenere risultati senza fatica. Rileva un sondaggio dell'epoca che l'85% degli italiani era favorevole alla cura Di Bella.
Il metodo Di Bella dopo la sperimentazione.
Nel 2003 la Camera dei Deputati approvò un atto di indirizzo per il governo al fine di una nuova sperimentazione del metodo.
Nel 2005 arrivò invece la nuova bocciatura da parte dell'Istituto Superiore di Sanità. Nel 2004 si presumeva che circa 100/150
medici continuassero ad applicare il MDB; al 2011 il metodo è divulgato attraverso diversi siti internet dai figli che hanno anche
istituito una Fondazione (metododibella.org/it/mdb/home.do). A questa data tuttavia non esistono né studi né statistiche in merito
ai casi trattati che possano deporre per l'efficacia della terapia.
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