Quasi subito dopo la presentazione della teoria di Darwin sull’origine delle specie, si cominciò a parlare di eugenetica con l’obiettivo di perfezionare gli esemplari più robusti e meglio dotati delle razze umane, selezionando gli aspetti migliori d’ogni razza ed eliminando quelli sfavorevoli, considerati ereditari, al fine di salvaguardare la qualità genetica delle generazioni future. Già nell’antica Grecia il costume spartano imponeva l’eliminazione dei bambini di cattiva conformazione. Poiché certe caratteristiche fisiche e mentali negative erano considerate ereditarie, si arrivava a considerare legittima anche l’eliminazione fisica di alcuni individui quali emarginati, matti, prostitute e criminali. La nascita ufficiale dell’eugenetica risale, però, ai primi del 1900 quando, in alcuni laboratori inglesi, ebbe inizio un programma chiamato “controllo razziale” basato sulla raccolta degli alberi genealogici di moltissime famiglie per studiare l’ereditarietà di caratteri fisici e psichici, in particolare l’intelligenza ed la personalità, ad opera di Haughlin e Davenport; secondo quest’ultimo alcuni aspetti comportamentali o legati alla personalità come l’alcolismo, la degenerazione morale, la criminalità, la deficienza o la debolezza di mente erano determinati da uno o pochi geni mendeliani chiamati "caratteri unitari". Attraverso uno studio sulle prostitute, Davenport dedusse che la prostituzione era il risultato di un "erotismo innato". Con l’introduzione di test sul quoziente d’intelligenza gli eugenisti pensavano di poter separare le persone intellettualmente superiori dalle altre e di poter migliorare l’intelligenza di una popolazione nel suo complesso. Si costituirono, quindi, due diversi programmi eugenetici: uno positivo e l’altro negativo; quest’ultimo tendeva a limitare i matrimoni che avrebbero potuto generare individui portatori di caratteri genetici non desiderabili, mentre quello positivo era propenso a favorire matrimoni tra individui portatori di geni “validi” che sarebbero, poi, stati trasmessi ai discendenti. In questo contesto il mescolamento delle razze era considerato negativo, quasi un "suicidio razziale", perché avrebbe provocato la perdita della purezza di tali razze, generando un deterioramento genetico di esse.
Le qualità considerate superiori erano tipiche della razza bianca, poiché tale superiorità era misurata attraverso il successo sociale ed economico, mentre "razza" nera era molto più affine alle scimmie antropomorfe. Si pensava, inoltre, che molti problemi sociali come la povertà ed il disadattamento fossero il risultato di deficienze genetiche da eliminare, impedendo la riproduzione di persone non integrate sufficientemente nella società. Già nel lontano 1798 Malthus scriveva che per eliminare la povertà non si dovevano mantenere i poveri, ma, secondo la logica "nessuna spesa e poco disturbo" si dovevano obbligare le classi inferiori a "matrimoni in età avanzata, astinenza sessuale, aborto, infanticidio". Questo avrebbe spinto le classi inferiori ad uscire con le loro forze dalla povertà. Nel 1935, quindi, gli eugenisti portarono avanti una campagna sulla sterilizzazione forzata di individui ritenuti socialmente indesiderabili, come matti, criminali ed epilettici. Secondo la maggior parte degli scienziati più critici, però, la sterilizzazione era invece inutile per la possibilità di mutazioni e la presenza di portatori sani. Negli Stati Uniti furono approvate leggi a favore di tali campagne e vennero sterilizzate circa 20.000 persone. In Germania, dopo l’ascesa di Hitler, fu promulgata una legge favorevole alla sterilizzazione di malati di mente, schizofrenici, epilettici, alcolizzati e portatori di deficienze fisiche. In tal modo furono sterilizzate circa 250.000 persone e furono impediti, attraverso l’approvazione di altre leggi, matrimoni tra Ariani ed Ebrei. A questo punto Muller lanciò una forte accusa all’eugenetica: essa era ormai solo una sorta di "giustificazione scientifica" per i sostenitori di pregiudizi razziali e di classi, per i fascisti e i seguaci di Hitler. Le posizioni eugenetiche erano sbagliate perché il fenotipo di un individuo derivava dall’interazione di un vasto numero di geni differenti e che molti geni "negativi" potevano rimanere non visibili per molte generazioni e ricomparire in seguito. La stessa "debolezza mentale" derivava non da caratteri ereditari, ma da scarsità alimentare o da malattie. La scoperta, alla fine della seconda guerra mondiale, dei terribili abusi come quelli perpetrati dai nazisti contro gli ebrei e la consapevolezza che la sterilizzazione era ed è contraria alla libertà ed alla dignità dell’uomo hanno portato al crollo definitivo di tale teoria. Per almeno un decennio di genetica si parlò poco, e con riserbo, anche in ambito universitario. Essa rinacque, tra il 1950 ed il 1960, con la scoperta dell’ereditarietà di alcune malattie quali l’emofilia ed il daltonismo; la genetica moderna lavora, infatti, per la prevenzione di malattie genetiche attraverso un’educazione sessuale adeguata delle coppie, una visita prematrimoniale di queste, la limitazione delle nascite in ambienti non adatti, la lotta contro le malattie sessuali e lo studio della fecondazione artificiale.
Una delle differenze tra l'uomo e le scimmie antropomorfe è il linguaggio, pressoché assente in queste ultime. Tuttavia anche all'interno della specie umana
esistono notevoli differenze soprattutto per la capacità più importante: l'intelligenza. Si pensa che tali diversità scaturiscano dall'ambiente e dalle singole
esperienze; influiscono sull'intelligenza infatti l'educazione, la qualità del'insegnamento scolastico e anche l'apprendimento che può essere più o meno immediato.
Gli studi che sono stati effettuati di recente dimostrano che fattori biologici e ambientali influenzano lo sviluppo cognitivo. Alcuni scienziati credono alla
presenza di geni che riguardano proprio le funzioni cognitive, ma resta la domanda: "Quanto contano i geni e quanto l'ambiente per un'abilità specificatamente
cognitiva come quella lessicale?"
Con la genetica molecolare si è cercato di individuare quali fossero i geni che influenzano queste capacità specifiche ma non si è ancora arrivati alla loro conoscenza.
In particolare sono state analizzate le somiglianze tra genitori e figli e tra fratelli e si è dimostrato che le capacità cognitive si trasmettono all'interno
delle famiglie.
I risultati hanno anche confermato che i componenti di un gruppo familiare sono più simili tra loro rispetto ad individui che non hanno lo stesso sangue. Non si sa ancora
se le capacità cognitive siano simili nelle famiglie per cause genetiche o ambientali.
Gli studiosi, per capire quale delle due cause fosse dominante, si sono basati su due esperimenti: il gemellaggio e l'adozione. Mettendo a confronto le somiglianze
tra gemelli, si è notato che due coppie di gemelli monozigoti e due coppie eterozigoti ottengono punteggio differente. Quelli dei monozigoti sono molto simili tra loro
rispetto a quelli degli eterozigoti. Con questi studi si può capire fino a che punto i geni influiscono sulla variabilità in una popolazione.
Gli studi condotti sull'adozione, dove si separa natura ed educazione, permettono di calcolare quanto influisca l'ambiente. I loro risultati hanno dimostrato che i
fattori genetici incidono maggiormente sulla variabilità, per il 60% nell'abilità verbale e per il 50% nell'abilità spaziale. Esempi di test per misurare l'abilità
verbale consistono nel cercare parole con significato analogo ad altre (vocabolario), oppure che inizino o terminino con lettere particolari dell'alfabeto
(scioltezza verbale) o elencare oggetti con la stessa proprietà (categorie). Sono note più di 100 mutazioni in singoli geni che danneggiano lo sviluppo cognitivo.
La scoperta di questi geni coinvolti nei disturbi di ordine cognitivo potrà aiutare la ricerca di nuove terapie più efficaci per queste patologie.
Rimangono ancora però diverse domande senza risposta: Cos'è l'intelligenza? In che modo le capacità cognitive sono collegate all'intelligenza? C'è un'area
specifica dell'intelligenza nel cervello come per esempio l'uditiva? Molti studiosi ritengono che l'intelligenza sia una facoltà innata che viene ereditata oppure
una qualità globale che pervade tutti gli aspetti della conoscenza o ancora una abilità specifica e distinta, come il talento artistico, che non ha nessun
principio comune.
Negli ultimi decenni alcuni psicologi si sono convinti della forte influenza esercitata dall'ereditarietà sull'intelligenza definita come qualità globale e capacità
cognitiva generale. Nonostante questi studi, è ancora difficile indagare a fondo sulla vera natura dell'intelligenza e quindi affermare se essa sia innata o ereditaria.
In particolare non si sono ancora trovati geni o proteine o aree del cervello presenti in alcuni individui (intelligenti) ma non in altri. In qualche modo i geni
sembrano fornire una base, un substrato che poi viene modellato dall'ambiente.
All’inizio dell’800, nel contesto di una progressiva specializzazione del lavoro medico, viene sollevato il problema della malattia mentale, considerata
sempre più generalmente malattia del sistema nervoso spesso localizzabile nel cervello. Di particolare importanza, nell’ambito di queste ricerche, è l’opera di Pierre
Broca (1824 - 1880) che individuò numerosi centri nervosi del cervello, in particolare la sede del linguaggio. Fautore delle possibilità della neurochirurgia, fu il
primo ad operare un ascesso cerebrale. Viene inoltre considerato il fondatore della moderna antropologia fisica; a lui si deve fra l’altro la fondazione del primo
istituto di antropologia, quello di Parigi (1876).
Introdusse i metodi per l’osservazione e la misura delle ossa (osteometria) e in particolare del cranio (craniometria); ideò vari strumenti di misura, fra i quali
l’antropometro e le scale cromatiche. Appassionato assertore della poligenesi, sostenne che il genere umano è formato da specie -le razze umane- molto più differenti tra
loro di quanto non lo siano le specie in zoologia. Intorno al 1860 giungeva a fornire la prova della localizzazione cerebrale di uno specifico disturbo delle funzioni
mentali (la perdita delle espressioni verbali) in un soggetto che, alla autopsia era risultato affetto dal rammollimento di una specifica parte del cervello (il lobo
frontale sinistro). Broca, che denominava tale disturbo come afasia, metteva così mano al primo tentativo di sistemazione della patologia dei disturbi delle funzioni
del pensiero legato al linguaggio verbale articolato, iniziando un settore di studi che sarebbero stati di importanza decisiva nei successi sviluppi del dibattito tra i
sostenitori e gli avversari di un approccio riduzionistico non solo al problema della malattia mentale, ma all’intero complesso delle questioni legate alle attività
psichica.
Broca dava un deciso impulso allo sviluppo di una componente somatica nell’ambito della teoria della malattia mentale con un ridimensionamento dell’importanza di
un’analisi psicologica dei sintomi della medesima.
Le tesi di Broca nascono dall’esigenza sintomaticamente medica, di ricondurre la malattia mentale a cause di tipo osservabile e quantificabile, non diverse dalle
cause delle altre malattie normali, e ravvisate, per esempio nei fattori ambientali, nell’igiene, nella ereditarietà.
Un altro studioso, Cesare Lombroso, intorno alla seconda metà dell’800 e quasi contemporaneamente agli eugenetisti, intuiva i rapporti esistenti tra criminalità e
ambiente sociale ed educativo anche se era sua convinzione che i comportamenti del singolo e dei gruppi etnici (le razze) dipendessero da caratteristiche biologiche
ereditarie e che pertanto non fossero modificabili. Ciò valeva per la pazzia e per la criminalità, ma anche per la generalità delle altre malattie mentali. Grazie poi
alla frenologia, (teoria localizzatoria che sosteneva che ad ogni organo corrispondeva una bozza cranica, il cui maggiore o minor rilievo è l’indice indiretto dallo
sviluppo della facoltà controllata dalla sottostante zona cerebrale), si ebbe un notevole sviluppo della psicologia e della neurologia dell’ottocento benché si riconosca
oggi che le bozze del cranio non presentino alcun rapporto con le proprietà del cervello.
La frenologia doveva avere un valore preventivo poiché, identificata un’anomalia, la società ne doveva eliminare il portatore. Il carcere ed il manicomio erano due
modalità’ di difesa della società. Lombroso sosteneva che la pena doveva essere commisurata non al reato, ma alla pericolosità del reo per questo era accettato il
principio secondo cui il reo, anche dopo aver scontato la pena, doveva essere trattenuto per la sua pericolosità. La criminalità secondo Lombroso era una manifestazione
da controllare sempre e comunque. Il criminale era degenerato, o meglio, aveva delle anomalie cerebrali insanabili e pertanto il suo comportamento criminale era il
risultato fatale di un meccanismo anomalo. La Scienza forniva dunque alla società del tempo un supporto per le discriminazioni sociali ed il razzismo.
C’è poi il filone biologico basato sulla scoperta che nell’encefalo vi sono strutture che sovrintendono ad attività aggressive e/o comportamenti di tipo omicida. Il
lobo temporale e i lobi frontali hanno dimostrato di avere un significato per il comportamento aggressivo e ciò ha avuto un’applicazione storica nell’uomo se si ricorda
che il neurologo portoghese Egas Moniz ha introdotto la lobotomia prefrontale che consiste nell’asportazione dei lobi frontali o nella resezione delle fibre che li
collegano alle altre strutture. In tal modo si ottengono variazioni dell’affettività e della reattività agli stimoli dell’ambiente e si osserva una loro riduzione
fino alla scomparsa.