LA TEORIA EVOLUZIONISTICA
Nel tempo si passa da individui più semplici a quelli più complessi. Lamarck era interessato soprattutto all'evoluzione nella dimensione temporale.
Darwin fu attratto dall'origine delle specie attraverso una diversificazione in dimensione geografica, nello stesso intervallo di tempo.
I concetti di evoluzione e discendenza comune furono quasi universalmente accettati dagli scienziati seri anche prima della morte di Darwin (1882), al contrario di gradualità e selezione naturale.
Quando, durante l'esplorazione delle Galàpagos, iniziò a scrivere di evoluzione, aveva 29 anni.
Cent'anni fa la storia dell'evoluzione, secondo la quale tutti gli esseri viventi derivano da un comune progenitore e sono quindi prodotto di una selezione naturale, scosse il mondo scientifico. Il genio che l'aveva formulata con sistematiche osservazioni e profondissimi studi, l'inglese Charles Darwin, si trovò al centro di roventi polemiche, di entusiastici consensi, di irrisioni e di esaltazioni. Dal 1859, l'anno in cui L'ORIGINE DELLE SPECIE vide la luce, anche la strada di discipline lontane dalla Biologia, come l'Archeologia, l'Astronomia o l'Antropologia, è stata irrevocabilmente segnata.
Tutto il nostro modo di pensare è stato direttamente o indirettamente influenzato da questo capolavoro, cosicché oggi una classificazione delle specie ancora bisognosa dell'ipotesi della creazione divina (ossia dal nulla) non potrebbe più essere accettata. Il merito è della 'plausibilità' delle tesi di Darwin, le prime in assoluto ad aver offerto gli schemi scientifici per unificare i vari campi della "storia naturale". Alla luce di tutto ciò, l'evoluzionismo darwiniano resta un acquisto irreversibile della nostra cultura e le sue 'verità' rimarranno al di là di ogni perfezionamento che la scienza potrà apportarvi nel tempo. Esse rimarranno anche perché sono il frutto di una mente straordinaria, che ha vissuto fino in fondo un'avventura fatta di emozionanti scoperte e di dubbi inquietanti, di eredità del passato e di grandi intuizioni del futuro. (Da: G. Montalenti, copertina de l'Origine delle specie, 1967). La sua teoria è assai nota: le specie animali e vegetali, viventi o fossili, si sono formate per selezione naturale che agisce sulla variabilità dei caratteri che casualmente si verificano e che viene conservata e accumulata solo se e in quanto utile alla sopravvivenza di una determinata specie nella sua battaglia contro le specie concorrenti; tale accumulo, nell'arco di periodi lunghissimi, determina la formazione prima di nuove varietà, le quali giungono a differenziarsi sempre di più fino a formare nuove specie e così via interessando tutti i livelli della classificazione (varietà, specie, generi, famiglie, ordini, classi).
La prima teoria coerente dell'evoluzione fu proposta nel 1809 dal naturalista e filosofo francese Jean Baptiste de Lamarck e si basava su quattro punti: 1) l'esistenza, negli organismi, di una spinta interna verso la perfezione; 2) la capacità di adattarsi all'ambiente; 3) il frequente verificarsi della generazione spontanea; 4) la trasmissione ereditaria dei caratteri acquisiti (cosa, quest'ultima, che Weismann, nella seconda metà dell'800, aveva sconfessato con un noto esperimento: per diverse generazioni, aveva tagliato la coda alle cavie senza che essa fosse mai presente, mozzata, nelle generazioni successive). Nell'Origine delle Specie di Darwin ci sono quattro sottoteorie. Due di esse concordavano con il pensiero di Lamarck: 1) il mondo non è statico, ma in evoluzione.
Le specie cambiano continuamente: se ne originano di nuove e altre si estinguono; 2) il processo evolutivo è di tipo graduale e continuo.
I due altri concetti erano nuovi: uno concerneva la 3) discendenza comune. Per Lamarck, ogni vivente aveva avuto un inizio nella generazione
spontanea ed era spinto continuamente verso la perfezione. Darwin sosteneva, invece, che gli organismi simili erano legati tra loro, discendendo da un antenato
comune; qualsiasi organismo poteva essere fatto risalire a un'unica fonte di vita.
L'altro punto riguardava la 4) selezione naturale.
Il cambiamento evolutivo non è il risultato di una spinta lamarckiana qualunque o un fatto casuale ma il risultato di una selezione che si svolge in due fasi:
la prima produce variazioni: un'enorme quantità, di cui egli non conosceva la fonte e che potè essere capita solo dopo il sorgere della genetica. La seconda consiste
nella selezione, che si attua attraverso la sopravvivenza nella lotta per l'esistenza. Nella maggior parte delle specie animali e vegetali, un insieme di genitori
produce moltissimi discendenti. La lettura di Malthus aveva aveva reso edotto Darwin sul fatto che, di questi discendenti, solo pochissimi riuscivano a sopravvivere,
quelli con la combinazione di caratteri più adatta per far fronte all'ambiente, ai competitori, ai nemici. Essi avrebbero la maggior probabilità di riprodursi e
di avere altri discendenti; in tal modo le loro caratteristiche sarebbero state disponibili per il successivo ciclo selettivo.
L'albero della vita secondo Darwin
Vignetta satirica
Copertina dell'Origine delle Specie
Disegno ironico
Coloro che respingevano la selezione naturale per motivi di ordine religioso o filosofico, o semplicemente perché sembrava loro un processo troppo casuale per spiegare l'evoluzione, continuarono per molti anni a proporre schemi alternativi, con nomi come ortogenesi, monogenesi, aristogenesi o "principio omega" (Teilhard de Chardin), ciascuno basato su qualche "tendenza o spinta interna verso la perfezione o il progresso".
Tutte queste teorie erano finalistiche: postulavano qualche forma di teleologia cosmica, di finalità o di programma. I sostenitori delle teorie teleologiche, malgrado i loro sforzi, non riuscirono a trovare meccanismi (eccetto quelli soprannaturali) che potessero spiegare il finalismo. La possibilità che un qualsiasi meccanismo del genere esista è stata esclusa in epoca recente dai dati della biologia molecolare. Come Jacques Monod sosteneva con particolare vigore, il materiale genetico è costante e può cambiare solo attraverso la mutazione. Le teorie finalistiche sono state confutate anche dalla documentazione paleontologica: quando si esamina attentamente la tendenza evolutiva di un qualsiasi carattere - per esempio una tendenza verso una maggiore mole corporea o verso denti più lunghi- si trova che essa non è uniforme, ma cambia direzione ripetute volte e perfino, di tanto in tanto, si inverte. La frequenza dell'estinzione in ogni periodo geologico è un altro potente argomento contro una qualsiasi tendenza finalistica verso la perfezione.
La selezione naturale riesce a spiegare il lungo progresso evolutivo fino alle piante e agli animali compreso l'uomo, a partire dall'origine della vita che si situa tra tre o quattro miliardi di anni fa. Un organismo compete non soltanto con gli altri individui della stessa specie, ma anche con quelli di specie diverse.
Un nuovo adattamento, o un generale perfezionamento fisiologico, renderà quell'individuo e i suoi discendenti competitori interspecifici più potenti e contribuirà così alla loro diversificazione e specializzazione. L'evoluzione è opportunistica: favorisce qualsiasi variazione che offra un vantaggio competitivo su altri membri della popolazione o su altri individui di specie diverse. Per miliardi di anni questo processo ha automaticamente alimentato il progresso evolutivo. Nessun programma l'ha controllato o diretto: è stato il risultato di "decisioni" prese lì per lì dalla selezione naturale. Il processo di selezione naturale non è affatto una questione di pura casualità. Benché le variazioni insorgano attraverso processi casuali, esse sono poi scelte nella seconda fase del processo: la selezione attraverso la sopravvivenza, che è un fattore decisamente opposto al caso.
Tigre con i denti a sciabola
Solo la variazione genetica è casuale; la selezione è opposta al caso
Thomas Henry Huxley, definito il "mastino di Darwin" per il suo sostegno incondizionato allo scienziato.
Darwin vecchio (Foto H. R. Barraud, 1881.
Linneo, Carl von Linné (Rashult 1707-Uppsala 1778).
Naturalista svedese, ideò un sistema di classificazione binomia ancor oggi usato dai naturalisti.
Secondo la sua idea il mondo è sempre stato immutabile, come creato dall’ente supremo. Il merito maggiore dello svedese fu la definizione e
l'introduzione nel 1735 della nomenclatura binomiale, basata sul modello aristotelico di definizione mediante "genere prossimo" e "differenza specifica",
nel sistema di classificazione delle piante e degli animali. Con questo metodo tassonomico a ciascun organismo sono attribuiti due nomi di origine latina:
il primo si riferisce al Genere di appartenenza dell'organismo stesso ed è uguale per tutte le specie che condividono alcuni caratteri principali
(nomen genericum); il secondo termine, che è spesso descrittivo, designa la Specie. La portata dell'innovazione fu enorme; precedentemente alla nomenclatura
binomiale il sistema di nomenclatura era semplicemente basato su un'estesa descrizione di ogni pianta, in latino, per i caratteri distintivi ritenuti di rilievo,
in modo del tutto arbitrario, da ogni classificatore.